Riassunto

La considerazione che la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità (OMS) rende opportuno considerare salute mentale e malattia mentale come due fattori correlati ma distinti. Pertanto l’assenza di un disturbo mentale non implica necessariamente la presenza di salute mentale intesa come una condizione di pieno benessere (flourishing), così come l’assenza di salute mentale non implica necessariamente la presenza di disturbi mentali ma potrebbe comportare la condizione di languishing (Keyes). 

In termini diagnostici si può sottolineare l’utilità di operazionalizzare e adottare la diagnosi di salute mentale. Se si vuole promuovere il benessere si deve poter documentare il grado di benessere pre e post intervento.

In ambito clinico e applicativo due esempi rilevanti in linea con le ricadute della definizione di salute mentale dell’OMS sono rappresentati dalla Well-being Therapy e dal Subjective Well-Being Training. La prima proposta, elaborata da Fava, si basa sull’idea di inserire una fase di promozione del benessere in sostituzione della prevenzione delle ricadute per completare il processo terapeutico. La seconda proposta, elaborata da Goldwurm partendo dal modello di Fordyce, si basa sull’idea che sia importante promuovere il pieno benessere nella popolazione generale.

La psicologia positiva può aiutare a comprendere il ruolo dei punti di forza della persona e del benessere nel contrastare lo sviluppo di deficit e disturbi mentali, migliorando sia la comprensione dei meccanismi eziologici che del trattamento dei disturbi resistenti ai trattamenti. La ricerca scientifica e quella applicativa hanno bisogno di una prospettiva integrata, che superi la contrapposizione positivo/negativo. 

Parole chiave: Benessere, salute mentale, flourishing, languishing, well-being therapy, subjective well-being training, psicologia positiva

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è impegnata fin dalla sua costituzione (WHO, 1948) a diffondere il concetto che “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità.” Anche nel nuovo millennio, l’OMS definisce la salute mentale come “Uno stato di benessere in cui l’individuo realizza le proprie abilità, può affrontare gli stress normali della vita, può lavorare in modo produttivo e fruttuoso, ed è in grado di fornire un contributo alla sua comunità” (WHO, 2004). 

In questa prospettiva, C. L. M. Keyes (2005) sostiene l’opportunità di considerare salute mentale e malattia mentale come due fattori correlati ma distinti: la salute mentale completa è uno stato in cui gli individui sono liberi da disturbi mentali e contemporaneamente vivono in una gamma ottimale di funzionamento umano detta “flourishing”, letteralmente “fiorire”. Quest’ultima condizione, connotata da adattamento, chiare mete nella vita, crescita e resilienza, è il polo positivo di un continuum che ha al polo opposto il “languishing” (in italiano “languente, languido”), uno stato in cui le persone descrivono le proprie vite come stagnanti, vuote pur in assenza di un disturbo mentale clinicamente significativo. Il flourishing si associa a migliori condizioni di salute fisica, a meno giorni di lavoro persi, e a un minor uso dei servizi sanitari e può essere considerato un obiettivo nelle strategie di promozione della salute mentale (Keyes, 2007).

Secondo il modello dei due fattori, quindi, l’assenza di un disturbo mentale non implica necessariamente la presenza di salute mentale intesa come una condizione di pieno benessere (flourishing), così come l’assenza di salute mentale non implica necessariamente la presenza di disturbi mentali ma potrebbe comportare la condizione di “languishing”.

In psicologia positiva lo studio del benessere viene affrontato facendo riferimento a due visioni di base, quella edonica e quella eudemonica. Nella prospettiva edonica, ispirandosi al filosofo greco Aristippo, il benessere è inteso come felicità soggettiva derivata sia dal piacere emotivo che dalla soddisfazione per il raggiungimento di obiettivi personali. In questa cornice, il costrutto di riferimento è quello di “benessere soggettivo” elaborato da Ed Diener (1984) che prevede una componente cognitiva e una emotiva. La prima si riferisce alla soddisfazione per i diversi ambiti di vita mentre la seconda alla frequenza delle emozioni e precisamente al prevalere di quelle positive su quelle negative Nella prospettiva eudemonica, ispirata ad Aristotele, il benessere è inteso come un processo di sviluppo ed espressione delle virtù individuali in armonia con il mondo circostante. Il costruito più noto ed utilizzato all’interno di questa cornice è quello di “benessere psicologico” elaborato da Carol Riff (1989) che prevede sei dimensioni: auto accettazione, relazioni sociali positive, crescita personale, propositi di vita, padronanza dell’ambiente, autonomia. 

La diagnosi di benessere

Le due prospettive di studio del benessere, edonica ed eudemonica, non sono in contrasto tra loro e possono essere integrate in una visione di benessere personale come funzionamento ottimale.

Seguendo Keys (2007) si può formulare una vera e propria diagnosi di salute mentale nello stile del noto manuale DSM dell’APA. Per essere diagnosticato in una condizione di flourishing un individuo deve soddisfare i seguenti criteri: 

  1. Benessere edonico caratterizzato da almeno uno dei seguenti criteri:
  2. Regolarmente allegro, interessato alla vita, di buon umore, felice, calmo e pacifico, pieno di vita (umore positivo)
  3. Prevalentemente o molto soddisfatto della vita in generale o nei domini della vita (qualità della vita)
  4. Funzionamento positivo (benessere eudemonico, psicologico e sociale) caratterizzato da almeno sei dei seguenti criteri:
  5. Ha atteggiamenti positivi verso se stesso, riconosce, ama la maggior parte delle parti di sé, la personalità (auto accettazione)
  6. Ha, o può formare, relazioni personali affettuose e basate sulla fiducia (relazioni sociali positive)
  7. Si mette alla prova in nuove sfide, è consapevole del proprio potenziale, sente un senso di continuo sviluppo.(crescita personale)
  8. Trova che la propria vita abbia una direzione e un significato (propositi di vita)
  9. Esercita la capacità di selezionare, gestire e modellare gli ambienti personali in base alle proprie esigenze e valori (padronanza dell’ambiente)
  10. È guidato dai propri standard e valori interni, socialmente accettati (autonomia)
  11. Mantiene atteggiamenti positivi nei confronti/riconosce e accetta le differenze umane (accettazione sociale)
  12. Crede che le persone, i gruppi e la società abbiano un potenziale e possano evolversi o crescere positivamente (attualizzazione sociale)
  13. Considera le proprie attività quotidiane utili e apprezzate dalla società e dagli altri (contributo sociale)
  14. È interessato alla società e alla vita sociale e le trova significative e in qualche modo comprensibili (coerenza sociale)
  15. Sperimenta un senso di appartenenza, conforto e sostegno da parte di una comunità (integrazione sociale)

La diagnosi di una condizione di “languishing” prevede un livello basso in un elemento del criterio A e in almeno sei elementi del criterio B.

L’idea di operazionalizzare la diagnosi di salute mentale, e più in generale i costrutti della psicologia positiva, può permettere di aumentare la considerazione dedicata a queste categorie, stimolarne la misurazione e facilitare la ricerca di base e applicativa. In base al modello dei due fattori implicito nella definizione di salute mentale dell’OMS, sarebbe del tutto inappropriato utilizzare unicamente misure di malessere per valutare l’efficacia di un intervento di promozione della salute. Se si vuole promuovere il benessere si deve poter documentare il grado di benessere pre e post intervento.

La terapia sequenziale 

Citando Gian Franco Goldwurm (1998) possiamo sottolineare come 

“l’obiettivo terapeutico può consistere solo in parte nel superamento della sofferenza e nell’adattamento del soggetto all’ambiente. In buona parte invece consiste nella trasformazione del cliente in agente attivo del cambiamento, non solo suo ma anche del suo ambiente […] l’obiettivo finale non dovrebbe essere solo il superamento dei disturbi, ma anche il miglioramento della qualità della vita sia oggettivamente che soggettivamente”.

L’insoddisfazione per un obiettivo terapeutico legato solo alla remissione dei sintomi depressivi ha portato Fava e collaboratori ad elaborare la “Well-being Therapy” (Fava, Rafanelli, Cazzaro, Conti, Grandi, 1998; Fava, Ruini, 2003; Guidi e Fava, 2021) come terapia sequenziale da inserire in sostituzione della tipica fase terminale di una psicoterapia di prevenzione delle ricadute . Essa viene definita una strategia terapeutica breve per migliorare il benessere (Fava, 1999) e si basa sul modello multidimensionale elaborato dalla Ryff già citato nei paragrafi precedenti (Ryff, 1989). I campi in cui è potenzialmente applicabile la Well-being Therapy sono in continua espansione (Guidi e Fava 2021) e comprendono i protocolli terapeutici cognitivo-comportamentali, i disturbi affettivi, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’immagine corporea, la medicina psicosomatica, la geriatria (Ruini, Fava, 2004). La struttura della Well-being Therapy prevede 8 incontri, settimanali o quindicinali, di circa 30-50 minuti in cui vengono impiegate strategie cognitivo-comportamentale come l’auto-oservazione mediante un diario strutturato, e l’interazione tra paziente e terapeuta (Fava, 2016). Oltre che essere strutturata, è anche direttiva, orientata alla soluzione dei problemi e basata su un modello educativo. 

Promuovere la felicità

Non presentare problemi non vuol dire godere pienamente di una condizione di benessere e nemmeno essere preparati per il futuro. Ad esempio, il primo ciclo di istruzione, composto da scuola primaria e scuola secondaria di I grado, ha per finalità l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva del pieno sviluppo della persona. Il pieno sviluppo non può prescindere dal benessere come lo abbiamo descritto finora. Sarà ormai chiaro che si può pensare a programmi di promozione del benessere destinati ad una popolazione non clinica.

I primi studi su un programma sistematico per incrementare la “felicità” in giovani adulti sono quelli compiuti da Michael W. Fordyce (1977, 1983), riconosciuto come un leader pionieristico in questo campo (Friedman, 2013). I suoi studi (Fordyce, 1972, 2000) si sono focalizzati sugli aspetti che accomunano le persone felici e che possono essere appresi dalla maggior parte degli individui grazie al programma basato sui cosiddetti “14 Fondamentali della felicità”: 

  1. Essere più attivi e tenersi occupati
  2. Passare più tempo socializzando
  3. Essere produttivi svolgendo attività che abbiano significato
  4. Organizzarsi meglio e pianificare le cose
  5. Smettere di preoccuparsi
  6. Ridimensionare le proprie aspettative e aspirazioni
  7. Sviluppare pensieri ottimistici e positivi
  8. Essere orientati sul presente
  9. Lavorare a una sana personalità
  10. Sviluppare una personalità socievole
  11. Essere se stessi
  12. Eliminare sentimenti negativi e problemi 
  13. I rapporti intimi sono la fonte principale di felicità
  14. Considerare la felicità la priorità numero 1

I 14 fondamentali riflettono un insieme di valori diffusi nelle civiltà occidentali ritenuti capaci di rendere felici la maggior parte delle persone. Ognuno potrà concentrarsi maggiormente su quei fondamentali che avverte come più carenti o più centrali. Nel modello di Fordyce (1977) la felicità è considerata una condizione caratterizzata sia da uno stile di vita attivo, socievole e significativo per la persona che da uno stile di pensiero orientato al presente e all’ottimismo.

Una serie di studi empirici (Fordyce 1977, 1983, 1988) ha dimostrato l’efficacia del programma dei 14 fondamentali della felicità. L’intervento prevede una vasta gamma di strategie che vanno dalla ristrutturazione cognitiva alle tecniche assertive e che in larga parte si fondano sull’osservazione di se stessi, sul confronto con il comportamento degli altri e sullo sviluppo di abilità di consapevolezza e autocontrollo delle contingenze ambientali. 

In Italia, partendo dalle ricerche di Fordyce è stato messo a punto un training di gruppo per migliorare il benessere personale, denominato Subjective Well-Being Training (SWBT), un percorso di cambiamento attraverso strategie di tipo cognitivo-comportamentale, adattabile anche al setting individuale (Goldwurm, Baruffi e Colombo, 2004). 

Nel formato originale di gruppo, il SWBT è un programma composto da otto incontri settimanali di circa tre ore ciascuno. L’ultimo incontro viene posticipato per assumere la valenza di richiamo e verifica degli apprendimenti. 

Ogni incontro ha una struttura definita. In apertura si condivide l’esperienza maturata nella settimana precedente, quindi si approfondiscono tre o quattro fondamentali della felicità di Fordyce attraverso il confronto e delle esercitazioni pratiche, infine si assegnano i compiti a casa, ovvero esercizi per il cambiamento personale da sperimentare prima dell’incontro successivo e da riportare in appositi diari predisposti ad hoc per il SWBT. 

Tale training si è dimostrato efficace nel promuovere il benessere soggettivo in modo duraturo inizialmente in due campioni di psicologi specializzandi (Goldwurm, Baruffi e Colombo, 2003, 2007). Successivamente il SWBT è stato proposto a persone comuni come corso del tempo libero di miglioramento personale. In questo caso la durata degli incontri è stata ridotta a 90 minuti (Crocetti e Colombo, 2010). Nel paragone con altri due corsi, focalizzati rispettivamente su autostima e gestione dello stress (gruppi di controllo), il SWBT si è dimostrato efficace nel promuovere il benessere emotivo in un numero più limitato di incontri (Colombo, Crocetti e Masaraki, 2012).

Il SWBT è stato proposto anche con una frequenza di un incontro di due ore ogni tre settimane (Manoni, Fantini e Colombo, 2016). Tutti i gruppi di training hanno ottenuto miglioramenti significativi e durevoli riguardo la felicità, come definita da Fordyce, e la soddisfazione di vita.

Nella versione breve SWBT-R, quattro incontri settimanali di gruppo della durata di due ore ciascuno, sono trattati solo sei dei 14 fondamentali originali (precisamente i seguenti: 5, 1, 2, 3, 7, 8), scelti in modo che rappresentassero i tre ambiti di cambiamento: comportamentale, cognitivo ed emotivo (Colombo, Artana, Presciutti, 2017). L’efficacia dell’intervento è stata verificata con una metodologia quasi-sperimentale, in cui, il SWBT-R è stato paragonato ad un corso di yoga, considerato come condizione di controllo. I partecipanti hanno scelto volontariamente il corso da seguire e sono stati valutati negli stessi tempi tramite una batteria di scale e questionari self-report per misurare sia fattori di benessere che di malessere. I risultati mostrano un miglioramento statisticamente significativo nella maggior parte delle variabili studiate solo per il grupppo SWBT-R.a distanza di quattro mesi (Artana et al. 2014). Un secondo follow-up, condotto dopo due anni dalla fine dell’intervento mostra che il gruppo sperimentale mantiene i miglioramenti per le variabili del benessere emotivo, per gli aspetti cognitivi e di stile di vita e per la sintomatologia psicologica. Il gruppo di controllo, che nel frattempo invece ha proseguito le lezioni di yoga, matura un cambiamento statisticamente significativo solo nello stile di vita e nella sintomatologia depressiva (Presciutti et al., 2016).

Dopo più di 10 anni di ricerche e interventi, si può affermare che se una persona ─ libera da disturbi psicologici e che vuole aumentare il proprio benessere personale ─ segue un corso come il SWBT può ottenere miglioramenti: 

a) nello stile di vita (ambito comportamentale); 

b) nella soddisfazione della vita, nelle attitudini e nei valori (ambito cognitivo); 

c) nella frequenza e nella durata delle emozioni positive (ambito emotivo). 

Considerazioni

Gli indicatori oggettivi considerati abitualmente negli studi sulla qualità della vita (ad es., reddito, abitazione, salute) si rivelano necessari ma non sufficienti e devono essere affiancati da indicatori soggettivi che riflettono la percezione del proprio benessere e la soddisfazione delle proprie aspirazioni (Goldwurm, 1995). Aspetti divenuti centrali per lo sviluppo della psicologia positiva. Questa nuova prospettiva ha messo in luce come l’impiego di molte risorse per indagare ciò che può affliggere la vita delle persone rappresenti solo una faccia della medaglia della salute mentale. Nonostante indubbi avanzamenti in termini di conoscenze di base e applicative, troppo a lungo si è trascurato lo studio degli aspetti che permettono di raggiungere e mantenere il pieno benessere. La ricerca scientifica però ha bisogno di una prospettiva integrata, che superi la contrapposizione positivo/negativo. 

Questo vuol dire che la psicologia positiva può offrire il suo contributo anche alla psicologia clinica e alla psicoterapia (Maddux, Snyder, Lopez, 2004). Infatti essa può aiutare a comprendere il ruolo dei punti di forza della persona e del benessere nel contrastare lo sviluppo di deficit e disturbi mentali, migliorando sia la comprensione dei meccanismi eziologici che del trattamento dei disturbi resistenti ai trattamenti. Il campo di interesse della psicologia clinica può essere allargato fino a comprendere la psicopatologia, il funzionamento maladattivo, così come il benessere soggettivo e il funzionamento ottimale (Colombo, Goldwurm 2007). 

La psicoterapia è chiamata a sviluppare procedure di assessment ed interventi con obiettivi maggiormente estesi di crescita della persona che vadano oltre il superamento della sofferenza. 

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Federico Colombo
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