Anno 2022 anno 17

GLI EFFETTI DEI CONTESTI NATURALI SULLA SALUTE MENTALE E IL BENESSERE: BREVE SINTESI DELLA LETTERARURA

RIASSUNTO

Il problema. Negli ultimi dieci anni un ingente numero di studi è stato volto a definire e valutare il ripristino del benessere (mentale, emotivo e fisico) attribuibile agli ambienti naturali. In generale, gli ambienti naturali sono sperimentati come solitamente più “rigeneranti” degli ambienti urbani o artificiali. Tuttavia, quanto l’ambiente naturale sia percepito come più salutare, rispetto a quello an­tropico, sembra difficile da valutare, per la varietà di metodi impiegati nella raccolta dei dati, per una carenza di definizioni delle caratteristiche ambientali che rendano possibile la classificazione dei vari ambienti, nonché di accordo sui modelli concettuali per lo studio di tali influenze. 

Scopo. Nel presente lavoro, allo scopo di pervenire ad una sintesi provvisoria sul tema, vengono esaminate alcune delle più ampie rassegne volte a misurare quanto si percepisca più rinvigorente e ristoratore l’ambiente naturale rispetto a quello antropico.

Metodo. Partendo dalle grandi rassegne sistematiche volte a quantificare i benefici legati alla espo­sizione agli ambienti naturali, effettuate sulle principali banche dati che comprendono gli stu­di di psicologia ambientale, si è proceduto ad una ricerca bibliografica  degli studi su quanto si percepis­ca più rinvigorente e ristoratore l’ambiente naturale rispetto a quello antropico. 

Risultati. I risultati confermano che gli ambienti naturali sono più rigeneranti e possiedono maggio­re capacità riparativa rispetto gli ambienti urbani. La grande disparità di metodi impiegata per rac­colta dei dati rende tuttavia difficile il confronto diretto tra i risultati degli studi, benché essi risulti­no per lo più convergenti. Restano comunque da definire le specifiche di una vera e propria “terapia naturale” in termini di componenti attive, caratteristiche del contesto, beneficiari, benefici attesi, dosi ed eventuali controindicazioni.

PAROLE CHIAVE: ambiente urbano, ambiente naturale, benessere psicologico, rigenerazione, metanalisi, risorse biologiche, cognitive, sociali.

INTRODUZIONE

Un numero crescente di studi provenienti da diverse aree della psicologia (ad es. psico­logia ambientale, psicologia del consumo, psicologia della salute, psicologia delle orga­nizzazioni e psicologia dello sport) indicano che l’esposizione agli ambienti naturali può incrementare il benessere delle persone (es. Berto, 2014; Bodin & Hartig, 2003; Bowler, Buyung-Ali, Knight, & Pullin, 2010; Hartig, Mitchell, de Vries, & Frumkin, 2014; Mitchell, 2013; Mitchell & Popham, 2008).

Le caratteristiche degli ambienti che facilitano il recupero di risorse (biologiche, cogni­tive, psicologiche e sociali) in un individuo (Hartig, 2004), cioè con capacità detta “rige­nerativa”, sono diventati un importante oggetto di ricerca (Staats, 2012).

Ciò ha dato luogo alla proposta di varie teorie psicologiche per spiegare perché gli es­seri umani traggono vantaggio psico-emotivo dall’esposizione a determinati tipi di am­biente. Due teorie sono emerse negli ultimi 30 anni dominando la ricerca empirica: la teoria del recupero dallo stress psicoemotivo (Stress Reduction Theory – SRT; Ulrich, 1983; Ulrich, Simons, Losito, Fiorito, Miles, & Zelson 1991) e la teoria del ripristino dell’attenzione (Attention Recovery Theory – ART; Kaplan, 1995; Kaplan & Kaplan, 1989).

La SRT (o teoria psico-evolutiva) si concentra sugli effetti immediati e sulla risposta emotiva inconsapevole suscitata da un ambiente (Korpela, Klemettilä, & Hietanen, 2002), suggerendo che il contatto con la natura possa favorire sentimenti di interesse, calma e piacevolezza da lievi a moderati (Hartig et al., 2011) e, di conseguenza, consen­tire il recupero da una condizione di stress psico-emotivo (Ulrich, 1979).

La teoria di Ulrich è stata recentemente corroborata anche da una meta-analisi (McMa­han & Estes, 2015) sull’effetto del contatto con gli ambienti naturali su indici di affetti­vità positiva e di affettività negativa: l’esposizione alla natura era correlata positivamen­te con le emozioni positive (r=.31) e correlata negativamente con le emozioni negative (r=–.12).

L’ART si concentra sulle caratteristiche degli ambienti naturali che favoriscono il recu­pero di benessere fisico e mentale, ipotizzando che il contatto con la natura consenta alle persone di ripristinare le risorse attentive consumate, favorire l’attenzione diretta e, di conseguenza, recuperare da  una condizione di fatica mentale, ovvero di difficoltà cognitiva (Kaplan, 1995). Centrale per l’ART è l’assunto che la capacità di dirigere volon­tariamente l’attenzione diminuisca con l’uso della stessa, poiché richiede uno sforzo per inibire gli effetti gli effetti distraenti degli stimoli interni ed esterni. Il contatto con gli ambienti naturali, secondo la teoria, non richiede l’uso dell’attenzione volontaria, ridu­cendo così la necessità di esercitare controllo inibitorio, liberando così risorse mentali, permettendone il recupero (Staats, 2012).

Nella letteratura di riferimento si suppone che tale capacità rigenerativa sia promossa dalle caratteristiche intrinseche degli ambienti naturali (es. Kaplan, 1995; Korpela & Hartig, 1996; Pasini, Berto, Brondino, Hall, & Ortner, 2014) così definite:

  • Fascinazione[1]: modo in cui gli stimoli presenti nell’ambiente catturano l’attenzio­ne involontaria di un individuo;
  • Distanziamento: misura in cui un ambiente induce nella persona la sensazione di sentirsi liberata dalle preoccupazioni e dagli obblighi quotidiani;
  • Struttura: qualità che comprende due aspetti: (1) la percezione che l’ambiente possieda o meno una struttura e (2) la misura in cui l’ambiente offra opportunità per l’esplorazione;
  • Affinità: corrispondenza tra le aspettative di una persona e le qualità osservate dell’ambiente.

 

SCOPO

Lo scopo generale di questo lavoro è di fare una breve panoramica degli studi che han­no confrontato la capacità riparativa derivante dall’esposizione diretta ad ambienti natu­rali e quella di ambienti urbani (antropizzati), nonché tra ambienti simulati e ambienti reali. 

Il secondo obiettivo del presente lavoro è di indagare se le differenze metodologiche potessero spiegare la variabilità degli effetti rilevati tra i diversi studi considerati.

 

LE RICERCHE ESAMINATE

Materiali e metodo 

È stata effettuata una ricerca sulle banche dati online PsycINFO, PsycARTICLES, Sco­pus, SpringerLINK, Web of Science per identificare gli articoli con revisione paritaria pubblicati fino ad oggi sugli effetti ristoratori della natura. Sono stati inizialmente valu­tati 22 studi che soddisfacevano i seguenti criteri di inclusione: esposizione diretta all’ambiente naturale o artificiale, confronto tra un ambiente esterno con presenza di al­meno un elemento naturale e uno senza elementi naturali, presenza di misure di “rige­neratività” ottenute con scale di auto-valutazione. Di questi ne sono stati selezionati 4 che rispondevano più precisamente ai quesiti di ricerca (V. Tab.1). Sono state inoltre tratte indicazioni dagli altri articoli selezionati quando fornivano dati rilevanti anche se in ambiti non coperti da quelli selezionati inizialmente.

Tab.1 I 4 articoli selezionati:  
– Twohig-Bennett C.& Jones A. (2018) The health benefit of the great outdoor: A syste­matic review and metanalysis of greenspace exposure and health outcomes. Environ. Res
– Menardo E, Brondino M, Hall R, Pasini M. (2019) Restorativeness in Natural and Urban Environments: A Meta-Analysis. Psychol. Rep
– Bowler D E, Buyung-Ali L M, Knight T M, Pullin A S. (2010) A systematic review of evi­dence for the added benefits to health of exposure to natural environments. BMC Public Health.
– Barber E, Fuller R A, Shanahan D F , Bush R  , Gaston KJ ,. Lin 4B B , Dean J. (2016) Health Benefits from Nature Experiences Depend on Dose. Scientific Reports.

RISULTATI

Negli studi esaminati, la capacità riparativa di un ambiente e la sua capacità di ripristi­nare le risorse cognitive sono state studiate indirettamente, sia attraverso misure fisio­logiche (Chen, He e Yu, 2016; Tang et al., 2017), che comportamentali (Berto, 2005; Lin, Tsai, Sullivan, Chang, & Chang, 2014). In altri lavori sono state studiate con misure di au­tovalutazione (indirette anch’esse) volte a rilevare gli effetti positivi del contatto con gli ambienti naturali su indici di umore, disagio, psicopatologia o funzionamento mentale e benessere soggettivo, o altri indicatori di percezione soggettiva della capacità riparati­va di un ambiente (Berto, 2014; Hartig, Korpela, Evans & Gärling , 1997; Pasini et al., 2014). I punteggi ottenuti venivano interpretati come una stima del potenziale riparativo dell’ambiente di riferimento considerato nella ricerca (Staats, 2012). 

Nello studio di Pearson e Craig, le persone erano invitate a valutare la qualità riparati­va dell’ambiente dove si svolgeva la ricerca, in base ai quattro parametri indicati dall’ART (Fascinazione, Distanziamento, Struttura, Affinità). Il presupposto era che le ca­pacità meta-cognitive degli individui permettono loro di comprendere i propri processi cognitivi e di stimare come essi siano influenzati da diversi ambienti (Pearson & Craig, 2014). Una recente revisione sistematica (Ohly et al., 2016) sull’ART ha confermato l’effetto positivo dell’esposizione agli ambienti naturali sull’attenzione. 

Tuttavia, le teorie ART e SRT non si escludono a vicenda, poiché secondo l’ipotesi della biofilia (Wilson, 1984), entrambe sono collocabili nello stesso quadro generale per  l’esi­stenza, nell’essere umano, di una “tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali” (Wilson, 1984). Gli esseri umani, si sostiene, avrebbero sviluppato una tendenza innata a concentrarsi sugli esseri viventi e quindi ad affiliarsi, associarsi, aggregarsi con la natura (Berto, Barbiero, Barbiero, & Senes, 2018).

Secondo alcuni autori gli ambienti naturali presenterebbero anche elementi (ad es. ve­getazione, acqua e grotte) e qualità (ad es. la configurazione spaziale come un terreno liscio o alberi che aiutano a definire la profondità della scena) che, durante l’evoluzione, si sarebbero rivelate favorevoli alla sopravvivenza. Ad esempio, la struttura spaziale di una foresta o di una savana può rendere questi ambienti naturali favorevoli alla soprav­vivenza perché le informazioni sarebbero immediate e disponibili per valutare dove si può esplorare in sicurezza e cosa potrebbe verificarsi in questo particolare contesto (Ka­plan & Kaplan, 1989). Le caratteristiche proprie dell’ambiente spiegherebbero così per­ché gli esseri umani ottengano benefici emotivi e cognitivi dall’esposizione agli ambienti naturali. (Berto, 2014; Kaplan & Kaplan, 1989; Wilson, 1984).

Alcuni studi hanno suggerito che gli ambienti “acquatici” naturali (laghi, mari e fiumi) e la natura selvaggia sono percepiti come più rigeneranti di ambienti “senza acqua” come montagne e foreste, o degli ambienti naturali in contesto urbano (e.g., Carrus et al., 2015; Laumann, Garling, & Stormark, 2001; McAllister, Bhullar, & Schutte, 2017; Tang et al., 2017; Tyrväinen et al., 2014). 

Tuttavia la letteratura riporta differenti potenziali riparativi rispetto al tipo di verde (Beil & Hanes, 2013; de Vries, Verheij, Groenewegen, & Spreeuwenberg, 2003; Hauru et al., 2012; Pals et al., 2014), alla biodiversità (Carrus et al., 2015; Hartig et al., 2014; Marselle, Irvine, Lorenzo-Arribas, &Warber, 2016), alla percentuale di verde (de Vries et al., 2003; White, Pahl, Ashbullby, Herbert, & Depledge, 2013; White et al., 2010) e ai tipi di superficie dell’acqua (Wilkie & Stavridou, 2013). Alti livelli di verde (e.g., Beil & Hanes, 2013; Hauru et al., 2012) o la presenza di una ampia superficie di acqua (e.g., fiume, lago, e mare; Tang et al., 2017; White et al., 2010, 2013) aumentano la capacità riparativa percepita dell’ambiente. Ambienti urbani con elementi d’acqua potrebbero però avere lo stesso potenziale riparativo della natura senz’acqua (White et al., 2010).

Al contrario, gli ambienti con elementi d’acqua sgradevoli potrebbero essere meno ri­paratori degli ambienti senza acqua (Wilkie & Stavridou, 2013). Inoltre, l’evidenza empi­rica ha suggerito che le caratteristiche della luce (ad esempio, luminosità, uniformità, ampiezza, qualità del colore, e offuscamento) influenzano la percezione delle qualità ri­parative (ad es. Nikunen & Korpela, 2009; Nikunen, Puolakka, Rantakallio, Korpela e Ha­lonen, 2014). Ad esempio, la luce naturale (fuoco e tramonto) esalta il fascino di un am­biente (Kaplan & Kaplan, 1989), la luminosità ne promuove l’esplorazione (ambito), e la qualità del colore facilita il rilassamento e la sensazione di essere lontano (Nikunen et al., 2014). La Tab. 2 riassume le principali caratteristiche studiate.

 
Tab.2    POTENZIALI FATTORI RIPARATIVI DEI CONTESTI     NATURALI SULLA SALUTE E IL BENESSERE
Livello di verde  Beil & Hanes, 2013; de Vries, Verheij, Groe­newegen, & Spreeuwenberg, 2003; Hauru et al., 2012; Pals et al., 2014
Biodiversità Carrus et al., 2015; Hartig et al., 2014; Mar­selle, Irvine, Lorenzo-Arribas, &Warber, 2016
Percentuale di verdede Vries et al., 2003; White, Pahl, Ashbull­by, Her­bert, & Depledge, 2013; White et al., 2010
Presenza di specchi d’acqua Wilkie & Stavridou, 2013
Presenza di raccolte idriche natu­rali (p.es. fiume, lago, e mare)Tang et al., 2017; White et al., 2010, 2013
Ambienti senza acqua[2](Wilkie & Stavridou, 2013). 
Caratteristiche della luce: luminosi­tà, uniformità, ampiezza, qualità del colore, e offuscamento Nikunen & Korpela, 2009; Nikunen, Puolak­ka, Rantakallio, Korpela e Halonen, 2014
Luce naturale ([3]) che esalta l’attratti­va di un ambienteKaplan & Kaplan, 1989
Luminosità che promuove l’esplora­zione (ambito), e qualità del colo­re Nikunen et al., 2014


In sintesi, molti studi empirici suggeriscono che la natura, rispetto agli ambienti urbani, ha maggiori  effetti rigenerativi e che tali effetti si rilevano nei domini affettivo, cogni­tivo e del benessere globale.

Tuttavia, alcuni Autori  (Berto, 2014; Hartig et al., 2014; McMahan & Estes, 2015; Ohly et al., 2016) hanno evidenziato che tra gli studi esiste una sostanziale diversità in termi­ni di metodo e disegno di ricerca utilizzati, che rendebbero difficile il confronto tra ri­sultati e quindi la possibilità di trarre conclusioni definitive. 

Ad esempio, sembra che l’effetto dell’esposizione ambientale sulle emozioni positive sia più forte in ambienti naturali reali rispetto ad ambienti simulati in laboratorio, men­tre non è stata trovata differenza tra ambienti naturali curati e ambienti non curati (“na­tura selvaggia”)(McMahan & Estes, 2015). 

La capacità riparativa percepita è un altro parametro ora ampiamente utilizzato nella letteratura (Staats, 2012). Gli effetti riparativi sembrano comunque essere legati alle variabili personologiche e/o comportamentali, in linea con una prospettiva bio-psicoso­ciale.

Inoltre, le differenze osservate negli effetti sulle emozioni e sulle capacità cognitive delle persone dopo l’esposizione ad ambienti diversi (ambiente naturale vs ambiente ur­bano) potrebbero essere in parte riconducibili ai diversi strumenti di misura utilizzati. 

L’effetto stimato dell’esposizione alla natura sull’umore e sulle capacità cognitive è maggiore negli studi che utilizzano la PANAS (Positive and Negative Affect Schedule; Wa­tson, Clark, & Tellengen, 1988) o il Trail Making Test, rispetto a strumenti come lo ZI­PERS (Zuckerman Inventory of Personal Reactions; Zuckerman, 1977 ) o il Sustained At­tention to Response task (per i dettagli vedere McMahan & Estes, 2015; Ohly et al., 2016). 

Quanto alle differenze tra ambienti naturali ed ambienti urbani, le ricerche esaminate tendono a confermare che la natura è percepita come più riparatrice degli ambienti ur­bani, confermando conclusioni già assodate in psicologia ambientale (Gifford, 2014; Staats, 2012). L’entità dell’effetto medio stimato in questi studi è stata ampia (Kappa di Cohen= 1.99) rispetto agli effetti  normalmente osservati in psicologia (Brand & Bradley, 2016). Viene inoltre confermato che i questionari di autovalutazione sono uno strumento valido per misurare la capacità riparativa percepita degli ambienti naturali rispetto a quelli urbani.

 

DISCUSSIONE

Sebbene la presente rassegna suggerisca che la natura è percepita come molto più ri­generante degli ambienti urbani, i suoi reali benefici per le persone potrebbero non es­sere molto maggiori di quelle offerte da questi ultimi. Pearson e Craig (2014), ad esem­pio, sostengono che il recupero di risorse cognitive dovrebbe avvenire indipendentemen­te da ciò che viene percepito se, come ipotizzato nell’ART (Kaplan & Kaplan, 1989), tale recupero è il risultato di un’interazione tra attenzione diretta e proprietà intrinseche de­gli ambienti. Gli ambienti potrebbero quindi essere valutati come più riparativi anche se le prestazioni cognitive non sono influenzate dalla qualità dell’ambiente (Evensen et al., 2015). Di conseguenza, misurare la capacità riparativa percepita senza misurare diretta­mente gli effetti sulle funzioni cognitive potrebbe portare a risultati fuorvianti (Pearson & Craig, 2014).

In primo luogo, le analisi dei fattori di moderazione hanno evidenziato, come previsto, che il disegno della ricerca in parte spiegava la variabilità dei risultati tra gli studi, con maggiori effetti osservati negli studi interdisciplinari rispetto a quelli osservati fra gli studi intradisciplinari. Questo probabilmente dipendeva dal miglior controllo della varia­bilità inter-individuale nel primo tipo di disegno di ricerca rispetto al secondo. 

Gli strumenti di misurazione utilizzati per valutare la capacità riparativa percepita de­gli ambienti sembrano avere una buona capacità di rilevare le differenze tra ambienti, ciò potrebbe permettere confronti plausibili anche tra studi che utilizzano strumenti di­versi tra loro.

Le caratteristiche personali (ad esempio, età, sesso, livello di istruzione, tratti o carat­teristiche di personalità) risultano svolgere un ruolo significativo nel determinare la per­cezione della rigenerazione dovuta a determinati ambienti. Ad esempio, anche se l’età non sembra influenzare la percezione della capacità riparative degli ambienti (Berto, 2007), gli ambienti naturali e urbani potrebbero avere potenzialità riparative differenti in relazione alla fase della vita (Scopelliti & Giuliani, 2004), come ad esempio viene rile­vato nello studio di McMahan, che ha trovato una correlazione maggiore tra umore posi­tivo ed esposizione alla natura nelle persone anziane (McMahan & Estes, 2015). Potrebbe quindi risultare utile indagare come bambini e anziani si rapportino con l’ambiente natu­rale per verificarne benefici ottenuti, identificare le condizioni che possono beneficiarne e le modalità di esposizione più opportune. 

Secondo un recente studio, i bambini che soffrono di disattenzione e iperattività (ADHD) che trascorrono molto tempo fuori casa in mezzo alla natura hanno sintomi meno gravi di chi passa più tempo in luoghi chiusi. La ricerca, condotta da Talylor e Kuo (2011) su un campione di 400 bambini, ha rilevato che quelli che giocavano abitualmente in contesti verdi avevano un maggior livello di concentrazione oltre a rimanere più calmi, rilassati, soddisfatti.

Infine, rispetto ai campioni utilizzati, si rileva che gli studenti sono abitualmente con­siderati un buon campione rappresentativo della popolazione generale, ma la validità di questo assunto non è verificata!

Per quanto riguarda l’effetto del genere o del livello di istruzione sulla capacità ripara­tiva, negli studi usati per le analisi queste variabili non sono state sistematicamente considerate, costituendo potenziali fonti di varianza nelle ricerche in questo ambito. Sono sicuramente necessari studi che tengano conto di queste variabili.

Tra i tratti di personalità, è stato suggerito che il nevroticismo influenzi la percezione della capacità riparativa degli ambienti domestici (Meagher, 2016) e che le persone con punteggi elevati di nevroticismo potrebbero ottenere maggiori benefici dall’esposizione agli ambienti naturali urbani rispetto alle persone che hanno punteggi più bassi  (New­man & Brucks, 2016). È stato anche suggerito che la capacità di percepire il potenziale riparativo di un ambiente dipenda dal livello di affinità con gli elementi naturali, come indicato da evidenze empiriche che mostrano la relazione tra un alto grado di naturalità percepita (Carrus et al., 2013; Hartig et al., 1997; Hipp, Gulwadi, Alves e Sequeira, 2016) nonché di connessione con la natura (Berto et al., 2018) e gli effetti rigenerativi percepiti dell’ambiente.

La natura, tuttavia, sembra  essere  percepita in generale come più riparatrice rispetto agli ambienti urbani indipendentemente dal contesto di esposizione (in laboratorio o in situ), del tipo di ambiente naturale considerato (selvaggio o “curato”), dello strumento di misura utilizzato o dei soggetti che che formulano i giudizi.

Infatti, l’effetto rigenerativo si riscontra anche agli ambienti naturali riprodotti in la­boratorio, confermando l’assunto implicito che l’esposizione ad ambienti simulati produ­ce effetti simili a quelli derivanti dell’esposizione ad ambienti reali (Stamps, 1990; Valt­chanov et al., 2010; Valtchanov & Ellard, 2010).

Inoltre, i risultati suggeriscono che la natura urbana potrebbe essere un valido sostitu­to per la natura selvaggia quando si pianificano ambienti riparativi (McMahan & Estes, 2015). Tuttavia, anche se la presenza di interventi umani (es. strade, edifici, ecc.) sem­bra non influenzare la percezione delle qualità riparative di un ambiente, altre caratte­ristiche ambientali potrebbero influenzarla.

 L’aspetto cruciale nel determinare i livelli di riparabilità percepita potrebbe non essere essere la presenza di un intervento umano (ovvero elementi artificiali come ad es. stra­da, edifici, ecc.) ma particolari (oggettivi o soggettivamente rilevati) dell’ambiente. In­dagini su diversi tipi di ambienti naturali urbani e sugli elementi che li caratterizzano potrebbero chiarire meglio questo aspetto.

Un interrogativo viene spontaneo per quanto concerne il benessere fisiologico dell’uomo a contatto con la natura, comunque essa sia rappresentata: è l’ambiente na­turale che aumenta il nostro benessere fisiologico, psicologico e sociale, o è il fatto che il soggetto già parta con un stato già buono dal punto di vista bio-psicosociale che lo spinge ad approcciarsi sempre di più con l’ambiente naturale? Ipotizzando un determini­smo ricorsivo, bisogna pensare che uno stato di base già favorevole potrebbe condiziona­re favorevolmente la propensione al contatto con la natura, o viceversa sfavorevolmen­te, se le condizioni di base non sono buone. Sarebbero necessari ulteriori studi (prospet­tici) che pren­dano in considerazione specificamente questo aspetto.

Riguardo agli effetti rigenerativi, come definiti nell’ART, e agli effetti positivi per il be­nessere e la salute mentale, è interessante notare come essi siano stati rilevati nei di­versi studi indipendentemente dalle metodiche utilizzate (misure fisiologiche, misure di funzionamento cognitivo, questionari, interviste) e dal contesto in cui avviene la fruizio­ne (passeggiate nel bosco, attività fisica, meditazione nella natura etc.) in tutte le fasce di età coinvolte negli studi.  E, aspetto ancor più interessante, come l’effetto positivo si abbia anche nel caso di ambienti simulati in laboratorio per mezzo della realtà virtuale o addirittura di rappresentazioni della natura.

Finora abbiamo considerato gli aspetti positivi del contatto con la natura, ma una criti­cità che tuttavia dovrebbe essere presa in considerazione è la possibilità che si possa in­correre in rischi, talora gravi, affrontando ambienti naturali senza una guida né una ade­guata formazione e preparazione, e soprattutto senza considerare le condizioni indivi­duali di salute. 

È da notare infine che non vi sono ricerche che valutino l’ipotesi che l’effetto “ripara­tivo” sia da attribuire al passaggio dall’ambiente artificiale a quello naturale, cioè ad una espe­rienza del cambiamento tra i due tipi di ambiente diversi. Tipicamente, gli stress lavora­tivi di molti cittadini si realizzano nei contesti urbani, mentre per costoro ai contesti naturali viene abitualmente associata la vacanza. Che questa ipotesi possa esse­re avanzata ce lo sug­gerisce anche la presenza di un effetto inverso, cioè un “sollievo” quando si passi da un ambiente naturale, quando esso comporti fatica e scomodità, ad uno antropico, con tutti i suoi tipici comfort.

 

CONCLUSIONE

I risultati della disamina di queste ricerche sembrano convalidare l’effetto positivo sul­la salute mentale e sul benessere del contatto con la natura, anche se tale influenza ap­pare condizionata da numerose variabili, talune ancora da valutare. 

Fermo restando, quindi, l’evidente potenziale “salutogeno” del contatto con gli am­bienti naturali, restano da determinare le specifiche caratteristiche benefiche dei diffe­renti contesti, siano essi naturali o antropici, quali possano essere i beneficiari in termi­ni di età, genere, stato fisico o eventuali patologie psichiche o fisiche, nonché l’aspetto di­namico, cioè lo stato del soggetto prima dell’esposizione al nuovo ambiente. 

In ogni caso, per considerarla una vera e propria “terapia”, facendo riferimento ai trattamenti medici, dovrebbero anche essere identificate le sue indicazioni, le modalità di somministra­zione (dose, fre­quenza, orari/stagionalità), così come dovrebbe essere calcolato il rap­porto rischi-bene­fici.

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[1] Questo termine si può conisderare equivalente ad “attrattiva”

[2]                rispetto ad  elementi sgradevoli

[3]                ad esempio, fuoco e tramonto.

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